In Italia un paziente su tre si affida a un’app per correggere il proprio stile di vita e più di uno su cinque (22%) se ne serve per ricordarsi di prendere un farmaco o per registrare i propri parametri clinici (21%). Tra i medici, invece, quasi uno su tre (il 30%) fa oggi ricorso abituale alla telemedicina, cosa che prima della pandemia non faceva più del 10% dei curanti. Sono alcuni dei dati provenienti dalla ricerca dell’Osservatorio sull’innovazione digitale in sanità della School of management del Politecnico di Milano (Polimi), che anche quest’anno ha indagato sulla maturazione tecnologica dei processi sanitari e dei suoi attori, cioè professionisti e assistiti.
La macroevidenza che emerge e di cui tutti, bene o male, hanno già avuto contezza riguarda l’effetto della pandemia sulla digitalizzazione del servizio sanitario: covid ha spinto sull’uso di nuovi strumenti e tecnologie accelerandone la diffusione tra i cittadini e nelle strutture sanitarie, così come lungo le diverse fasi del percorso di cura. La spesa del pubblico per la sanità digitale, rivela l’Osservatorio, è cresciuta del 5% rispetto all’anno precedente e vale oggi un miliardo e mezzo di euro, ossia l’1,2% della spesa sanitaria (circa 25 euro procapite). E il digitale è un canale sempre più utilizzato dai cittadini per cercare informazioni su salute o servizi: il 73% si è rivolto alla rete per avere indicazioni sui corretti stili di vita (erano il 60% nel 2020), il 43% si è informato online sulla campagna vaccinale, il 33% ha setacciato il web per sapere di più su prevenzione e salute.
«Ma il processo di digitalizzazione» avverte l’Osservatorio «è ancora frammentato e disomogeneo». Tra le criticità spicca l’inadeguatezza dei professionisti sanitari: il 60% dei medici specialisti e dei medici di medicina generale possiede competenze di base che consentono l’uso degli strumenti digitali appartenenti alla quotidianità, ma solo il 4% ha un livello soddisfacente di competenze digitali professionali. Un Ssn più digitale e connesso poi, prosegue l’Osservatorio, non può prescindere da un’adeguata gestione e valorizzazione dei dati, ma l’asset principale per la raccolta di quelli dei pazienti, il Fascicolo sanitario elettronico (Fse), è ancora poco sfruttato: solo il 38% degli assistiti ne ha sentito parlare e solo il 12% è consapevole di averlo utilizzato. «Nel 2020 il processo di digitalizzazione dell’ecosistema della salute del nostro Paese ha accelerato» dice Cristina Masella, responsabile scientifico dell’Osservatorio «ma procede ancora a velocità diverse sul nostro territorio. Le risorse del Pnrr sono l’occasione per completare la transizione verso la “connected care”, però è fondamentale utilizzarle in modo appropriato, investendole per colmare il gap che ancora separa molte regioni e aziende sanitarie».
Sul tema il quadro che dipinge la ricerca è impietoso: seppur attivati per quasi tutta la popolazione italiana, i Fascicoli sono spesso incompleti, privi delle informazioni e dei documenti più utili a medici e pazienti e – come rivela un’indagine svolta in collaborazione con Doxapharma – sono ancora poco conosciuti e utilizzati dagli italiani: soltanto il 38% ne ha sentito parlare e appena il 12% sa di avere utilizzato lo strumento almeno una volta. Va un po’ meglio tra i pazienti cronici o con gravi problemi di salute: conosce il Fse il 73% degli intervistati e lo utilizza il 37%. I servizi più “gettonati” sono l’accesso ai referti online (88% dei cronici e 57% della popolazione) e le ricette elettroniche (ancora 88% tra i cronici, 44% tra gli altri). Sono sfruttati anche servizi come il ritiro online dei documenti clinici (37% della popolazione, prima della pandemia era il 29%), la prenotazione online di visite ed esami (26%) e il pagamento online del ticket (17%). E il 45% dei cittadini che ha prenotato un vaccino lo ha fatto online (il 29% fra gli over 65).
La pandemia ha accelerato cambiamenti ed evoluzioni anche tra i medici: l’e-mail è ormai utilizzata dal 79% dei mmg, dall’85% degli specialisti e dal 55% dei pazienti. Ma con l’emergenza è cresciuto rapidamente l’impiego di piattaforme di collaborazione come Whatsapp (54% contro il 12% di prima della crisi Covid), dei medici specialisti (70% contro il 30% in precedenza) e dei pazienti (30% contro l’11%). Il servizio di telemedicina più utilizzato è il teleconsulto tra generalista e specialista (lo usa il 39% dei mmg), che in prospettiva attira l’interesse di 8 medici su 10. Seguono la televisita con il paziente (39% degli specialisti e dei mmg) e il telemonitoraggio (28% specialisti e 43% mmg).
A causa di un’offerta ancora limitata, tuttavia, la telefonata o la videochiamata di controllo con il medico rimangono la modalità più utilizzata dai pazienti per tenere sotto controllo il proprio stato di salute (23%). Resta quindi marginale l’uso di servizi di telemedicina strutturati come la televisita con lo specialista (8%), la teleriabilitazione (6%) e il telemonitoraggio dei parametri clinici (4%), che però riscuotono un forte interesse in prospettiva, con percentuali vicine al 90%. Secondo i medici specialisti, poi, le soluzioni di telemedicina consentirebbero di organizzare da remoto circa il 20% delle visite di controllo ai cronici. Considerato che per gli specialisti si può “dematerializzare” una visita su cinque e che i pazienti con patologie croniche sono 24 milioni, l’Osservatorio stima che grazie al potenziamento dei servizi di telemedicina sarebbe possibile risparmiare 48 milioni di ore oggi sprecate in spostamenti evitabili, 66 milioni se si aggiunge il tempo speso dal caregiver che accompagna l’assistito.