Il consumatore è infedele ai brand e li tradisce senza troppi rimorsi già alla spesa successiva. Lo aveva detto Nielsen a luglio con una ricerca che abbracciava diversi Paesi europei, lo confermano ora Bain e Gfk con un’altra indagine, interamente focalizzata sui comportamenti degli italiani nel largo consumo e condotta per tre anni su 10mila famiglie italiane e 1.700 brand, ripartiti in 130 categorie di prodotto. Una ricerca che – per quanto extracanale – regala ai farmacisti titolari alcune evidenze da mettere subito in cassaforte. La prima: in media, il 60% delle scelte di acquisto avviene in negozio. In altri termini: l’industria può anche sudare sette camicie per costruire attorno ai propri prodotti uno zoccolo duro di consumatori fidelizzati, alla fine comunque il cliente fa di testa sua. E davanti alla calata dello scaffale stipata di confezioni, finisce spesso per cambiare marca rispetto all’ultima volta che aveva comprato: il tasso di infedeltà, dicono Bain e Gfk, si aggira attorno al 75% ma può arrivare a punte del 90% nelle categorie di prodotto dove c’è più affollamento di competitor.
«Per la maggior parte dei consumatori» è l’analisi di Marco Caldarelli, partner di Bain & Company «le marche non sono così importanti: la categoria “fedeli heavy buyer” praticamente non esiste, è sotto al 2%. Se le aziende pensano al proprio brand almeno due volte al giorno, il cliente lo fa due volte all’anno». E ancora: «Per decenni i brand del largo consumo hanno lavorato con l’obiettivo di mettere assieme un gruppo di consumatori fedeli e assidui, che una volta convinti avrebbe acquistato quel brand per sempre». Obiettivo fallito, dice la ricerca Bain-Gfk, perché solo 2 consumatori su dieci rimangono fedeli alla marca e l’acquistano mediamente appena 2 volte all’anno.
Quali sono allora le strategie da mettere in campo? I brand, rivelano i dati, perdono in 12 mesi il 62% dei propri consumatori (66% tra le marche meno note). «Non esiste in Italia un brand che negli ultimi tre anni sia cresciuto per un aumento dei consumi familiari» prosegue Caldarelli «anzi le marche continuano a perdere consumatori, meno 9-10% in tre anni. Dal nostro punto di vista, quello che guida la crescita è la penetrazione: più persone che comprano, non poche che comprano di più». Gi spazi ci sono: nel largo consumo, solo 5 marche su 1.700 arrivano a una penetrazione del 50%, mentre l’80% penetra meno del 10%.
Il mantra, dunque, è bipolare: da un lato acquisire sempre nuovi clienti, dall’altro tenersi stretti quelli che già ci sono. Come? Il consiglio di Bain e Gfk chiama in causa la semplicità: puntare su marche riconoscibili e coerenti, che non cambino troppo nel tempo, che veicolino messaggi costanti e che siano sempre presente nei punti vendita. «L’innovazione come è stata intesa finora» commenta Marco Pellizzoni, commercial director di Gfk «non è stata un driver di crescita. Anche i top brand hanno spesso allargato l’assortimento senza reali ricadute positive. Quello che suggeriamo è un’innovazione che rompa le barriere della penetrazione e arrivi a chi prima non comprava, basandosi sulle effettive esigenze del consumatore».
Quanto alla comunicazione, evitare le campagne isolate anche se brevi ma intense a favore di una presenza multicanale, diffusa e persistente. E chi per fidelizzare o conquistare nuovi clienti ha usato la leva prezzo? «I dati dimostrano che i ricavi non sono cresciuti» è l’indicazione di Caldarelli. E anche questa è un’evidenza di cui i farmacisti titolari dovrebbero fare tesoro.