La conversione in legge del ddl concorrenza non fa perdere il sonno ai titolari di farmacia. O almeno non a tutti. Lo rivela un sondaggio condotto dall’Osservatorio sui consumi privati in sanità (Ocps) della Sda Bocconi, la School of management del noto ateneo milanese. La survey integra una ricerca che l’Osservatorio porta avanti da un paio di anni per valutare ricadute ed effetti del disegno di legge, non solo sullo specifico settore della farmacia ma più in generale sul sistema della sanità privata, dove non a caso c’è forte attenzione per i destini del provvedimento. Committenza a parte, le risposte fornite dal campione dei farmacisti (stratificato, attendibile per singolo cluster al 99%) non sono quelle che ci si attenderebbe sulla carta: tra i titolari di farmacia si dichiara favorevole all’apertura al capitale il 43,6%; tra i collaboratori la quota sale al 49% e tra i farmacisti che lavorano nel segmento della distribuzione intermedia arriva al 75%. Livelli di gradimento più bassi tra i farmacisti di Asl e distretti (40%) e tra quelli che operano nelle aziende farmaceutiche (41,7%).
«I motivi che inducono quasi la metà dei titolari a non opporre barricate al capitale» spiega Erika Mallarini, docente della Sda Bocconi e coordinatrice della ricerca «sono diversi: sicuramente ci sono quelli che aspettano il ddl concorrenza perché ritengono che l’ingresso di nuovi acquirenti accrescerà il valore della farmacia, ma è probabile che alla prova dei fatti rimarranno i più delusi. Altri ancora perché pensano che “il capitale faccia lobby” e quindi protegga meglio la farmacia. Ma poi ci sono anche i farmacisti che vedono positivamente l’apertura al capitale perché sarà di impulso alle aggregazioni e alle reti, che consentiranno di proporre servizi avanzati anche nell’ambito del Ssn. E poi ci sono i farmacisti che nel capitale vedono l’opportunità di disporre di risorse fresche con cui investire e crescere».
La survey ha anche misurato aspettative e previsioni delle aziende della filiera farmaceutica, con interviste ai principali manager del comparto. E pure qui i risultati non sono sempre quelli che si immaginerebbero. «Tra le imprese della distribuzione intermedia» continua Mallarini «l’apertura della titolarità al capitale riscuote il maggior numero di favori, perché si spera così di riuscire a trasformare i crediti inesigibili in capitale. Anche se non sarà facile: quasi nessuna farmacia è indebitata verso un solo soggetto, quindi chi vuole possederle interamente dovrà comunque reperire risorse per risarcire gli altri creditori. E una volta ottenute le proprietà si può parlare di catena? Ci sono le competenze per gestirle? Pochi sono consapevoli del fatto che nel retail la concentrazione comporta una progressiva sostituzione dei grossisti con i Cedi (i Centri di distribuzione della gdo, ndr) e quindi il fallimento di molti distributori».
Tra le aziende dell’otc, invece, favorevoli e contrari al ddl concorrenza praticamente si equivalgono. «Spinge al pessimismo» riprende Mallarini «il timore di trovarsi davanti grandi catene dalla capacità negoziale ben più forte, mentre gli ottimisti vedono in queste stesse catene un partner che parla la loro stessa lingua e che quindi sa spostare quote di mercato. Tra le aziende del farmaco etico, infine, si registra generalmente scarso interesse per l’argomento in sé: il ddl concorrenza non riscuote grande attenzione tra i più perché ormai il canale di punta, quello dove c’è innovazione, non è la filiera tradizionale. Qualche azienda di prodotti maturi, però, vede positivamente l’avvento delle catene come occasione di sviluppo della pharmaceutical care e quindi dei fatturati».