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Prima la pandemia, poi le carenze. Nel tempo della “permacrisi” solo l’organizzazione salva dal burnout

Filiera

Prima la pandemia, con le tensioni e gli stress da tamponificio che hanno raggiunto il picco a cavallo tra 2021 e 2022. Poi la carenza di personale, in parte conseguente al sovraccarico da test antigenici di cui s’è appena detto, che persiste tutt’ora e mette sotto pressione i team delle farmacie. E infine l’altra carenza, quella delle forniture di medicinali e dispositivi, che ormai costa alla farmacia più di sei ore alla settimana (media stimata dal Pgeu) per reperire i medicinali in rottura di stock. Fatiche da Sisifo per i farmacisti, che da tre anni circa passano da un’emergenza all’altra quasi senza soluzione di continuità. Il logoramento che ne deriva è ormai ai livelli di guardia? Per i collaboratori la risposta è sì e il segnale più evidente lo dà proprio la carenza di personale, che in buona parte esprime stanchezza e disaffezione per il lavoro in farmacia. E su LinkedIn fioccano gli annunci di catene e network che cercano collaboratori o direttori per le loro filiali.

Ma dà indicazioni interessanti anche un sondaggio condotto tra ottobre e gennaio dalla rivista inglese Chemist&Druggist: tra i dipendenti delle farmacie di Boots Uk, il 62% dichiara livelli di stress elevati e il 70% si lamenta di carichi di lavoro sempre o spesso irrealistici; tassi simili (62% e 74% rispettivamente) tra il personale delle farmacie Lloyds, fa invece molto peggio la catena Well Pharmacy (76 e 89%). Dato che anche le farmacie d’Oltremanica lamentano carenze di personale e stress da emergenza pandemica, il sondaggio riveste qualche valore anche alle nostre latitudini. Ed è interessante il giudizio che danno i dipendenti delle catene inglesi sul bilanciamento vita-lavoro: in una scala da uno a dieci, dove uno indica una quotidianità dominata dal lavoro e 10 esprime il rapporto ottimale tra vita e impiego (a giudizio del singolo intervistato, ovviamente), Boots Uk riscuote un voto medio di 4.7, LloydsPharmacy ottiene 5.1 e Well Pharmacy esce con il voto peggiore, 4.3.

E i farmacisti titolari? Come stanno reagendo alla sequela di stress che da tre anni a questa parte si è scaricata sulle loro spalle? In questo caso più che ai sondaggi ci si deve affidare alle valutazioni di coloro che lavorano sul campo. E in diversi casi ammettono situazioni di stress o logoramento. «È vero, in giro c’è stanchezza» dice Dario Castelli, presidente rurale di Federfarma Milano e referente dell’associazione per la provincia di Lodi, dove tre anni fa venne dichiarata la prima Zona rossa «la pandemia e l’emergenza tamponi hanno lasciato il segno. Ogni titolare reagisce a modo suo, è ovvio, ma ho l’impressione che in parecchi sia affiorata una sorta di apatia, vanno avanti quasi per inerzia». Si può solo auspicare, quindi, che i titolari «utilizzino questo cambiamento di scenario per riassestare le idee, prendere fiato e mettere a frutto ciò che si è seminato durante l’emergenza. Penso in particolar modo al bilanciamento tra aspetto sanitario e aspetto commerciale».

Conferma Damiano Marinelli, consulente delle farmacie indipendenti: «Tra i titolari la stanchezza da post-covid è palpabile» spiega «molti fanno fatica ad andare avanti e la ricerca di farmaci e personale porta via tempo». Per Marinelli tuttavia occorre distinguere tra titolari che si sono organizzati e quelli che non l’hanno fatto. «I tamponi hanno fatto da spartiacque» osserva «le farmacie che si sono strutturate per gestire senza stress la domanda dei mesi più intensi oggi se la cavano meglio di quelle che invece si sono lasciate travolgere o non hanno proposto il servizio». In sostanza, si è trattato di un investimento che oggi sta fruttando. «Con gli antigenici» sottolinea Marinelli «gli italiani hanno capito per la prima volta che non tutte le farmacie erano uguali. E che per trovare un buon servizio era necessario andare anche più lontano della farmacia sotto casa».

Oggi, così, il cliente applica lo stesso comportamento quando c’è da cercare un farmaco che è difficile da reperire a causa di rotture di stock o indisponibilità. «La farmacia che si è organizzata ai tempi dei tamponi» riassume Marinelli «viene oggi cercata perché si ritiene che possa essere altrettanto affidabile quando c’è da cercare un farmaco che si fa fatica a trovare. Prosegue dunque quello spostamento di traffico dalle farmacie disorganizzate a quelle organizzate che già si era fatto vedere all’epoca dei tamponi. Stiamo parlando di incrementi anche del 10%».

Per spiegarsi, Marinelli cita il fenomeno dei cosiddetti prenotati, ossia i farmaci per i quali il paziente deve tornare in farmacia una seconda volta. «Ormai i prenotati rappresentano spesso il 20% dei medicinali dispensati in una giornata» spiega «eppure sono ancora poche le farmacie che si sono organizzate per gestire questo traffico. Anche se basterebbe poco: per esempio, quante ordinano i prenotati per l’iniziale del cognome del paziente, in modo da trovare velocemente il farmaco quando l’interessato torna a ritirarlo? Da quel che riscontro nella mia quotidianità poche, la maggior parte ordina per data ma capita spesso che l’assistito non torni il giorno stesso ma l’indomani o anche dopo. E così, per avere il medicinale ordinato si possono attendere al banco diversi minuti, che vanno ad aggiungersi al tempo già speso al primo passaggio. La gente fa sempre più attenzione a queste cose». Tra i titolari che non si sono organizzati, così, crescono stanchezza e apatia. «Chi perde ingressi è portato a tirare i remi in barca» conclude Marinelli «e a chiedersi se non sia arrivato il momento di vendere».

Tra i consulenti che lavorano in farmacia, però, ci sono anche valutazioni differenti. Per Emanuele Mormino, coach e fondatore di Pharmaway, il titolare di farmacia è alle prese oggi con carichi di lavoro eccezionali ma non è corretto parlare di stress o apatia da logoramento. «Semmai c’è tranquillità» è la sua opinione «perché comunque il mercato sta andando innegabilmente bene». Piuttosto, il tanto lavoro in più dovuto al personale che non si trova e ai servizi rimette in cima alle priorità il problema dell’organizzazione, un tema sul quale anche Mormino insiste. «Il titolare» è la raccomandazione «deve imparare a delegare per dedicarsi a tempo pieno alle attività che può fare soltanto lui. Penso per esempio all’organizzazione del team, che troppo spesso è lasciata al team stesso con il risultato che ognuno fa ciò che vuole. Altra attività indelegabile è il controllo finanziario dell’impresa, oggi cruciale più che mai visto quel che accade con i tassi d’interesse. Infine c’è il governo strategico dell’azienda: quali servizi mettere in piedi, a quanto metterli e come comunicarli, o ancora selezionare l’offerta. Oggi, lo ripeto da tempo, l’assortimento va sfoltito per concentrarsi su ciò che ruota davvero».

Anche per Nicola Posa, senior partner di Shackleton Consulting, non è corretto parlare di logorio della titolarità. «Io vedo molta iniziativa sotto traccia» è il suo parere «per esempio si investe diffusamente sul digitale. È vero però che l’attività è spesso individuale, mancano la partecipazione e il confronto che invece si vedevano in precedenza. L’industria si sta organizzando, forse provvederà lei a colmare questa lacuna».

Anche per Santo Barreca, brand manager di Unica, la rete delle farmacie di proprietà di Unico spa, il problema è il sovraccarico di lavoro: «Il fatto è che con i servizi è aumentata la burocrazia» osserva «e se è vero che le farmacie organizzate se la cavano meglio – come le aggregate, aggiungerei – è altrettanto vero che in Italia la farmacia tipo ha dimensioni medio-piccole e conta tre persone, quindi più di tanto non si può fare». In più, c’è da fare i conti con uno scenario inusuale: «Si può dire che ormai il new normal è il caos» dice Barreca «nel senso che il segno di questa epoca è la permacrisi, ossia una fase di incertezza pemanente in cui a una crisi ne segue un’altra. È inevitabile allora che una certa quota di titolari avverta una senzazione di logoramento. Più che apatia lo definirei burnout: l’orgoglio della professione rimane forte, ma lo stress si fa sempre più forte». Come uscirne? Neanche Barreca riesce a dare risposte precise. «Di certo servono nuove idee e nuove competenze» conclude «la sfida del momento è capire quali».

 

 

 

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