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Nel futuro del Ssn la casa primo livello di cure. E tra le start up pronte a entrare nel mercato c’è chi s’ispira a Pillpack

Filiera

Domiciliarità. E’ la parola con cui la farmacia dovrà familiarizzare nei prossimi 4-5 anni, perché rappresenta uno degli architravi della riforma sanitaria disegnata dal Recovery Plan. Si tratta, come noto, del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), il programma di interventi strutturali che il governo italiano si appresta a inviare a Bruxelles per accedere al mega-finanziamento da 234 miliardi (20 dei quali per la sanità) del progetto Next Generation Eu. Il Recovery plan dedica alla sanità il sesto capitolo (o Missione) e tutti gli interventi in materia prendono le mosse dall’esperienza maturata nella pandemia, dove il nostro Ssn è stato messo a durissima prova e non si è dimostrato sempre all’altezza.

Per quanto concerne l’assistenza territoriale, uno dei capisaldi della ricostruzione che verrà è – appunto – la domiciliarità. Che significa «la casa come primo luogo di cura», attraverso il potenziamento dei servizi domiciliari e l’aumento in volumi delle prestazioni rese in assistenza domiciliare, «fino a prendere in carico, entro la metà del 2026, il 10% della popolazione di età superiore ai 65 anni», con pluripatologie croniche e/o non autosufficienti.

Serviranno sforzi non indifferenti, perché al momento il target viene rispettato solo in quattro regioni, e occorreranno investimenti tecnologici cospicui (telemedicina, domotica, digitalizzazione) così come interventi strutturali consistenti, tra i quali il Recovery plan cita l’istituzione, in ogni distretto sanitario, di una Centrale operativa territoriale (Cot) «con la funzione di coordinare i servizi domiciliari con gli altri servizi sanitari e migliorare le prestazioni offerte alle persone vulnerabili e disabili, anche attraverso il ricorso a nuove tecnologie».

E’ ovvio che tra i servizi sanitari da coordinare con il nuovo livello della domiciliarità (aggiuntivo a ospedale e territorio) c’è anche l’assistenza farmaceutica. Ed è difficile pensare che la prossimità assicurata dalle farmacie del territorio possa dare risposta a tutti i bisogni, soprattutto se covid acquisirà carattere stagionale (come diversi esperti già prevedono) e i pazienti affidati ai servizi domiciliari si caratterizzeranno per fragilità più o meno importanti.

La domanda che le farmacie dovrebbero cominciare farsi già ora, dunque, è: chi porterà i farmaci a queste persone? E visto che questi pazienti sono in massima parte di “iperconsumatori” (di medicinali, ovviamente) il mercato che ne scaturisce quali potenziali “competitors” potrebbe attirare? Per suggerire indizi basta puntare il dito sul servizio “Janssen a casa tua 2.0”, che l’azienda farmaceutica belga ha rinnovato nei giorni scorsi dopo averlo lanciato un anno fa, in pieno lockdown. Oggi disponibile in 11 regioni (Abruzzo, Basilicata, Campania, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Piemonte, Puglia, Sicilia) è una sorta di home delivery del farmaco ospedaliero, limitato alle sole specialità di alcune aree terapeutiche come oncologia, ematologia, immunologia, hiv e ipertensione polmonare arteriosa.

L’accesso al servizio è valutato dai medici e dai farmacisti ospedalieri, ma nella nuova versione – fresca di varo – sono direttamente i pazienti a richiedere il recapito, con il supporto del personale clinico. Come scrive la stessa Janssen in un comunicato, il servizio serve a «ridurre gli accessi in ospedale per il ritiro dei medicinali», considerato che «ospedali e ambulatori sono ancora percepiti dagli italiani come alcuni tra i luoghi a più alto rischio di contagio da covid» e si rivolge a una platea potenziale di 56mila assistiti. Ad assicurare il delivery non è l’azienda belga ma Phse, società specializzata nella logistica farmaceutica a temperatura controllata, che un giorno – perché no – potrebbe considerare l’eventualità di proporsi per il recapito dei farmaci della convenzionata.

Ma ci sono anche altre new entry da tenere sotto osservazione. Nei giorni scorsi per esempio PharmaPrime – startup italiana per l’home delivery della farmacia – ha concluso un round di finanziamento da 1,5 milioni di euro con il fondo Prime Ventures e alcuni investitori internazionali. L’operazione consentirà all’azienda di aprire basi in trenta città italiane (oggi presidia soltanto Roma, Milano, Genova e Bologna) e allargarsi in Spagna e altri Paesi vicini. «Le tecnologie digitali sono cruciali per migliorare la vita delle persone e rispondere ai bisogni dei pazienti, in particolar modo di quelli più vulnerabili» ha commentato Luca Buscioni, ceo e fondatore di PharmaPrime.

Finanza e capitali, peraltro, stanno dimostrando grande interesse per le start up che fanno leva sul digitale per domiciliarizzare assistenza e prestazioni, evidentemente perché hanno capito che le potenzialità sono enormi (a prescindere dal Recovery plan). Tra i tanti casi vale citare RX Home, servizio di radiografie a domicilio già operativo e in piena fase di crescita, che nel 2020 ha raccolto oltre 202 mila euro con una campagna di equity crowdfunding; Derma Help, il primo servizio di teledermoscopia a domicilio o in farmacia e Denta Home, servizio a distanza per l’igiene dentale e la ribasatura delle protesi, anche questo disponobile a domicilio o nelle rsa.

Ma c’è un altro potenziale competitor con cui le farmacie potrebbero un giorno confrontarsi e da cui, forse, arriva la minaccia più insidiosa: Pillpack. O meglio, un servizio tipo Pillpack, la farmacia di Amazon che recapita a domicilio i farmaci per un mese di cura già sconfezionati e riassemblati in bustine pre-dosate. I suoi clienti sono soprattutto anziani e cronici in multiterapia (cioè gli stessi pazienti da privilegiare nella nuova domiciliarità del Ssn) e non c’è motivo per pensare che il servizio non possa trovare gradimento in Italia come l’ha già raccolto negli Usa. Non a caso, nel nostro Paese c’è un’altra start up che mira a replicare il modello di business di Pillpack: si tratta di Sempli Farma di Remedio, altra società che si è finanziata grazie a un equity crowdfunding. Fondata dal manager Alessandro Iadecola, punta a offrire lo stesso servizio di Pillpack alle farmacie territoriali e ospedaliere e ha già in corso un progetto pilota con le 20 farmacie comunali di Trento.

Il mercato di riferimento, è la stima di Remedio, vale in Italia circa 3 miliardi di euro l’anno, ma i progetti del Ssn in tema di domiciliarità delle cure potrebbero diventare un importante moltiplicatore. E complicare lo scenario competitivo: con l’home delivery, un servizio tipo Pillpack offerto da una grande farmacia di città (o da una catena di dimensioni nazionali) potrebbe raggiungere senza sforzi anche i paesi della provincia più remota, mettendo in difficoltà i piccoli presidi. Ed ecco perché sulla domiciliarità è opportuno che i farmacisti titolari si mettano subito a ragionare. Non a caso, sull’home delivery si è aperto da poco un tavolo al ministero della Salute, presenti Assofarm e Federfarma, con l’obiettivo di chiarire regole e norme. Ma ad ascoltare i rumors, i due sindacati non sarebbero concordi sulla linea, con il primo che propenderebbe per un giro di vite e il secondo di vedutepiù aperte.

 

 

 

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